Come
l’Europa amplifica il rischio di recessione
Di
Carlo Pelanda (9-9-2008)
Secondo
Trichet, Governatore della Banca centrale europea, in questi mesi la tendenza
recessiva nell’eurozona ha raggiunto un picco, le conseguenze si sentiranno
fino a fine anno in termini di crescita negativa o comunque stagnante, poi nel
2009 pian pianino riprenderà la crescita. E nel 2010 forse l’inflazione da
costo, cioè quella generata dall’impennata dei prezzi energetici, rientrerà.
Almunia, Commissario europeo per gli affari economici e monetari, avverte che
in tale scenario la massima priorità è quella di evitare la rincorsa
salari/prezzi. Questo è il quadro che ci viene fornito dalle principali
autorità europe. In sintesi, ci dicono di stare tranquilli, di mettere in priorità
l’equilibrio dei conti pubblici e, implicitamente, che non ci sono motivi per
ridurre il costo del denaro ed il suo impatto su mutui e costi debitorii in
generale. Chi scrive non è d’accordo.
Il volume del
commercio internazionale sta scendendo più e più velocemente di quello che si
pensava. Un sintomo, per esempio, è la veloce caduta del prezzo del petrolio a
causa di un calo della domanda globale e non solo per risparmio, moderazione
dei fenomeni speculativi ed interventi calmieratori, ma per una vera forte
riduzione delle attività. In generale, nelle ultime settimane è aumentato il
rischio di contrazione dell’economia globale. Se ciò verrà confermato, allora
il traino alla crescita fornito dall’export europeo sarà minore. Poiché la
crescita dei mercati interni nell’eurozona è piatta si profila il rischio di
recessione più grave del previsto. In tal caso le priorità sono due: taglio del
costo del denaro, ora il tasso di riferimento è al 4,25%, e riduzione dei costi
per famiglie ed imprese. La Bce
certamente cerca un punto di equilibrio tra le esigenze contrastanti di
contenere l’inflazione alzando i tassi e quella di non alzarli troppo per
evitare recessioni gravi. Ma l’equilibrio attuale, e quello implicitamente
annunciato, appare troppo restrittivo e rischia di acuire la tendenza
recessiva. Un tasso di riferimento adeguato al momento, secondo chi scrive,
sarebbe il 3,5%, pronti a scendere al 2 se la situazione precipitasse. Per
favorire tale opzione stimolativa antirecessiva i governi dovrebbero fare di
tutto per ridurre i costi di sistema, cioè per ridurre l’inflazione, tagliando
con priorità la componente fiscale dei prezzi al consumo dei combustibili ed
intervenendo sulla trasparenza di questo settore del mercato. In America i
prezzi del carburante sono scesi con la stessa velocità di quelli del petrolio
grezzo. Non si capisce perché in Europa, e Italia in particolare, non si riesca
fare lo stesso. I governi, inoltre, dovrebbero attuare stimolazioni fiscali
d’emergenza, pur calibrate con i vincoli di equilibrio di bilancio. Ma gli
eurovincoli ai bilanci statali dovrebbero tener conto del momento recessivo e
fare spazio a tali iniziative. I lettori vanno avvertiti che queste
raccomandazioni di buon senso sono inutili. La Bce ritiene che i governi non aiuteranno a
disinflazionare perché “fermi”. La Commissione ritiene che i governi non ridurranno
spesa e tasse e non vuole lasciare neanche il minimo spazio di aumento della
prima in deficit. In sintesi, il sistema europeo preferisce rischiare una recessione piuttosto che un aumento
dell’inflazione perché non si fida delle capacità disinflazionistiche dei
governi. Qui il problema che andrà risolto con cambiamenti sostanziali: se la
stabilità europea deve essere ottenuta impoverendo i cittadini, allora non
potrà durare molto.
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